da Fljotavik » dom feb 01, 2009 7:54 pm
Riporto questa recensione di rockol.it perchè l'autore propone un interessante paragone tra Antony e i Sigur Ros.
Anche l’epilessia è una danza, se a cantare è Antony Hegarty (si sarà ispirato al povero Ian Curtis?) E la musica diventa un balletto, un tracciato di figure aeree e di gesti leggeri in omaggio al divino femminino e al fanciullino che è in noi. “Danza della profonda oscurità” come il butoh di Kazuo Ohno, leggendario ballerino giapponese di 102 anni immortalato sulla copertina di “The crying light” come sull’Ep “Another world” di qualche mese fa: il nuovo alter ego di Antony, dopo Nina Simone.
Lasciamo che sia lui stesso a spiegare: “Durante le sue performance l’ho visto tracciare un cerchio di luce sul palco, entrarvi per rivelare i sogni e le fantasticherie del suo cuore come se danzasse nell’occhio di qualcosa di misterioso e creativo”. Di sogni e di luce, di misteri e fantasie vive anche “The crying light”, dove il pop operatico di Antony & the Johnsons diventa poesia haiku in musica, le canzoni stanze musicali di un’etica ed estetica lucida e rigorosa. Prendere o lasciare, perché a dispetto della presenza di un’orchestra e della estroversione dei temi queste dieci nuove canzoni (una, “Another world”, già edita) sono ancora più asciutte, contemplative e minimaliste di quelle contenute in “I am a bird now”, il disco che quattro anni fa ha fatto conoscere Antony al grande pubblico. “Una galleria di paesaggi”, secondo l’autore, “che esplorano le mie relazioni con la natura e con gli elementi, con le trasformazioni dell’ambiente che ci circonda”. Antony invoca l’arrivo della colomba della pace e un “nuovo mondo/ perché questo sta per scomparire” assieme ai suoi alberi e ai suoi animali, al sole e alla neve. Troppo naif? No, se si condivide la sua visione panteista del mondo, dove tutte le forme viventi hanno un’anima (anche musicale) e pari dignità. Un mondo tuttavia sempre più pallido, malato e decadente, di cui Antony è l’aedo struggente. Si sente così sicuro di sé, stavolta, da non avere bisogno di padrini potenti, di ospiti dai nomi importanti (non c’è Lou Reed, non c’è Rufus Wainwright). Bastano i suoi Johnsons e Nico Muhly, il direttore d’orchestra, che lo assecondano con una delicatezza di tocco rara a sentirsi. E’ quasi sempre il pianoforte a condurre la danza, contrappuntato da archi e fiati discreti, da percussioni ridotte ai minimi termini (solo in “Kiss my name” batteria e violini salgono di volume e intensità), talvolta “sporcati” da cigolii e lievi dissonanze (“One dove”, “Another world”). Introdotto da un arpeggio di chitarra elettrica, il gospel di “Aeon” spinge Antony a scuotersi da quel suo assorto torpore, mentre “Daylight and the sun” ha una melodia ariosa come una romanza verdiana. Il resto sono folk, soul, songbook classico americano, opera e operetta sradicate dai loro contesti originali, proiettate in una dimensione onirica e sognante com’è nella natura androgina e quasi extratterestre del personaggio. Gli arrangiamenti di Muhly sono scialli leggeri, stole di velluto sulle spalle larghe di Antony, tappeti delicati per quella incredibile voce agilmente inerpicata sul pentagramma. L’ascolto (non facile) del disco diventa un’esperienza meditativa, quasi mistica, con la stucchevolezza e la leziosità di certa musica “contemplativa” fortunatamente lontane anni luce.Mi vengono piuttosto in mente i Sigur Rós, seppur posizionati a tutt’altre latitudini geografiche e musicali. Come Antony, anche gli islandesi invitano al raccoglimento, alla scoperta del “mondo sensuale” (per dirla alla Kate Bush) che si nasconde nella natura, all’ascolto a occhi chiusi della voce interiore. Entrambi stanno riscuotendo un successo sorprendente, anche inaspettato, raccogliendo un seguito di culto che sembra crescere di giorno in giorno arruolando vip e gente comune, “creativi” e semplici appassionati di musica. Forse perché più il mondo esterno si manifesta caotico e grossolano, più diventa superficiale e rumoroso, più sentiamo il bisogno di ascoltare questi sussurri armoniosi, questa arcana musica del silenzio.
(Alfredo Marziano)
Oh thou that bowest thy ecstatic face