Un’intervista (risalente al 2007) di Elena Raugei tratta dalla rivista Il Mucchio
AMIINA
Dopo alcune pubblicazioni minori, l’affiatata partnership con i Sigur Rós e tour mondiali, il quartetto femminile islandese ha finalmente dato alle stampe un album suggestivo e meritevole di approfondimento. Sólrún è la nostra interlocutrice.
Perché avete cambiato la vostra misteriosa sigla sociale, da Aníma ad Amina e infine Amiina?
La storia dietro al nome è iniziata molto tempo fa. Circa dieci anni fa lavoravamo insieme come quartetto d’archi, facevamo una musica più classica e usavamo Aníma, che in realtà non significava niente. Quando abbiamo cominciato a dedicarci a una formula diversa e siamo diventate leggermente più orecchiabili, abbiamo pensato fosse appropriato cambiarlo perché le persone in Islanda ci conoscevano appunto come un quartetto d’archi classico: abbiamo invertito le consonanti ed ecco Amína, che in seguito abbiamo scoperto essere un nome di donna molto diffuso nei paesi musulmani. C’erano però altri musicisti chiamati nello stesso modo, per cui avevamo problemi su iTunes e siamo state costrette a modificarlo di nuovo. Non siamo mai state troppo brave con le parole e per noi è sempre difficile trovare i titoli delle canzoni. Siamo state al solito pigre e abbiamo semplicemente aggiunto un’altra “i”.
L’album si intitola kurr, in riferimento al suono che gli uccelli emettono in Islanda. Come mai questa scelta?
C’è voluto davvero tanto tempo per trovare un titolo giusto, anche perché non lavoriamo con le liriche e non siamo solite usare vocaboli nella nostra musica. Qualcuno se n’è uscito con questo termine e a noi è piaciuto perché è semplice e descrive un certo suono.
Siete nate come quartetto d’archi, ma adesso non seguite ruoli prestabiliti. Come funziona il vostro processo di composizione?
Di solito decidiamo chi suonerà cosa via via che procediamo. E’ abbastanza casuale e spontaneo. C’è una specie di libertà che ci permette di suonare qualsiasi cosa ci vada al momento, anziché un solo strumento specifico. Il modo in cui nascono le canzoni ha così molto a che spartire con la strumentazione.
Nel disco utilizzate difatti sia strumenti tradizionali, come chitarre, tastiere e mandolini, sia inusuali: arpe, metallofoni, bicchieri, glockenspiel, xilofoni, harmonium, banjo, campane, clavicembalo, sintetizzatori, svariate percussioni, archi, ottoni e molto altro ancora.
Di base siamo aperte nel suonare tutto, o meglio qualsiasi cosa produca un suono che ci piace. La maggior parte delle volte, in sala prove o durante le registrazioni, scopriamo di aver bisogno di qualcosa che trasmetta una certa sensazione. Spesso abbiamo a che fare con pochi elementi e magari pensiamo che manchino delle frequenze: lo strumento finale potrebbe essere quello che supplisce a questa mancanza.
Immagino che improvvisiate molto.
Sì, non scriviamo mai la nostra musica su carta. E’ completamente basata sull’improvvisazione, che è sempre il primo passo.
Come riuscite a far coesistere il vostro background classico e gli studi al Reykjavik College Of Music con la modernità e l’elettronica? Sono opposti che collidono o differenti ingredienti della stessa ricetta?
Funzionano bene assieme, anche quando cerchiamo di allontanarci dalle radici e procedere in maniera più aperta. Io ho un diploma in Musicologia e María si è laureata in Composizione, per cui utilizziamo la nostra istruzione e la nostra conoscenza tecnica. Del resto, siamo passate attraverso un bel po’ di teoria musicale. La maniera in cui parliamo in sala prove è probabilmente diversa da quella dei gruppi rock o pop: il nostro vocabolario sarà parecchio differente. La nostra musica deve comunque appagarci e divertirci. Forse perché abbiamo un retaggio basato sulla disciplina e sugli archi, abbiamo scoperto con gioia che ora come ora possiamo realizzare ciò che vogliamo.
Le voci e un coro compaiono soltanto in tre episodi: un domani potreste incrementare il cantato, o vi trovate più a vostro agio solo suonando?
Ci sentiamo maggiormente a nostro agio a suonare, ma vogliamo davvero cantare di più. E’ qualcosa di cui ci vergogniamo un po’. Ci arriveremo, è uno degli elementi che vogliamo aggiungere e a cui pensiamo. Ci stiamo lavorando e vedremo come si svilupperanno le cose.
In questi anni avete suonato molte volte con gli amici Sigur Rós, sia dal vivo che in studio per i loro ultimi due album. Quanto peso ha avuto tale esperienza, e quanta sicurezza vi ha trasmesso?
E’ stato importante per farci arrivare dove siamo adesso. Tutta la nostra pratica dal vivo è derivata dai tour assieme a loro, così come la nostra conoscenza dell’industria musicale e del grande pubblico. Prima che iniziassimo a collaborare eravamo concentrate sulla musica classica e avevamo attorno musicisti classici, mentre il loro lavoro è basato molto sull’improvvisazione. E’ stata un’introduzione ad un nuovo modo di operare, a una differente attitudine nel fare musica. Si è rivelata una grande influenza, anche se magari non proprio per quello che stiamo proponendo ora. In breve, ci ha permesso di fare esperienze necessarie.
In generale, quale è il vostro approccio alle performance live?
Per tutte noi è una parte importante del fare musica. C’è interazione con l’audience ed è una cosa diversa dal lavorare in studio, che è comunque altrettanto eccitante. Suonare dal vivo è fondamentale anche per lo sviluppo del nostro sound e per la maniera in cui pensiamo alla nostra musica. Nei nostri piani il prossimo settembre dovremmo tornare in America e a ottobre in Europa, Italia sicuramente compresa.
Tra il 2005 e il 2006 avete pubblicato l’ep AnimaminA e il singolo Seoul. A posteriori, come li giudichi?
Il nostro stile si è sviluppato molto da AniaminA: è stato il primo esperimento in assoluto, per cui è speciale. Quando iniziammo, non avevamo assolutamente nessuna idea di che tipo di canzoni avremmo potuto fare né di come avrebbero potuto suonare. Siamo partite da una pagina vuota, ed è stato un processo abbastanza naturale e non ha richiesto un lungo periodo di tempo. Seoul, invece, è una conseguenza dei tour.
Questo disco è giustamente focalizzato sul vostro personalissimo stile e l’unico ospite è Orri dei Sigur Rós, alla batteria per Lóri.
Finora siamo state molto concentrate sull’interazione fra noi quattro. Abbiamo sperimentato un rapporto di lavoro lungo e intenso con i Sigur Rós, quindi continueremo ancora a focalizzarci su noi stesse. Siamo però aperte a collaborare con altre persone. Non ho nessuno in mente di preciso, ma è bello confrontarsi con altra gente, vedere come si muove e da cosa trae ispirazione.
La copertina di Kurr è splendida: sembra che tessiate la stoffa nello stesso modo in cui lavorate alle trame musicali, prestando attenzione ai colori e alla loro giustapposizione.
E’ vero. Ci delle similitudini tra l’idea di tessere e quella di creare la nostra musica: è il motivo che forse ci ha spinte a scegliere quell’immagine.