Ragazzi, che ne pensate? Li conoscete? Vi piacciono?
Sono in concerto a Roncade, tra Treviso e Venezia, venerdì 19.
Qualcuno è interessato? Nel frattempo posto una mia recensione del loro, a mio avviso, miglior album
Lungo i bordi
Cosa si può dire di questo "Lungo i bordi", seconda prova dei Massimo Volume dopo il buon esordio di Stanze? Ancora oggi rimango attonito! Se "Stanze", pur pregevole nella sua freschezza e in taluni spunti, aveva un limite evidente in una reiterata ingenuità, qui la maturità pare arrivare come un atto definitivo e sconvolgente. Più che dodici tracce, son dodici racconti, una porzione del nostro mondo analizzata e sezionata con una precisione chirurgica e microscopica. Un pugno nello stomaco.
L’impianto sonico è granitico, compatto come un monolite, secco come un albero autunnale. Qui non c’è nessuna concessione: la chitarra di Egle Sommecal graffia come una lama tagliente; è nevrotica, schizofrenica e, se in taluni momenti sembra disegnare armonie meno cupe e più riflessive, ci pensa la voce di Emidio Clementi a trasformare apparenti e dimesse vicende quotidiane in qualcosa di sinistro ed esiziale; non esistono vie di fuga, paradisi artificiali e improvvisi.
Emidio non canta: recita, declama, ammonisce. Un senso di angoscia imperante si annida nelle sue sillabe che ti inchiodano alla realtà, alla nostra realtà: ecco la spettrale e drammatica "La notte dell’11 ottobre", ecco la paranoia e la schizofrenia della title-track, ecco l’asprezza elettrica di "Meglio di uno specchio"... Sono tutte qui le nostre lacerazioni, inquietudini (“sono io la causa di tutto questo?”), il nostro male quotidiano, oscuro, le nostre debolezze: “mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata” recita Emidio nella splendida "Inverno ’85".
Lungo i bordi ha poco a che fare con un semplice compact disc di musica contemporanea: questo è il nostro tempo, la nostra crisi di fine millennio, buttata in faccia in 39 intensi e nevrotici minuti.
I Massimo Volume han sezionato una porzione di vita (quella metropolitana di Bologna) con precisione e rigore, e ce l’han spiattellata nuda e cruda davanti ai nostri occhi; han strappato le nostre coscienze, la nostra anima malata e l’han appesa davanti ai nostri occhi come un quadro dalla violenza espressionistica...è lì, non si può eludere, sfuggire: è la colonna sonora di un secolo, un millennio alla deriva e alla ricerca di se stesso...arriva Ravenna, “le nuvole sono immobili e senza contorno...sullo sfondo”. I nastri registrati al contrario, le voci che si confondono in un caos, eruttate come lava da un vulcano: non c’è finale più consono.
Più che un capolavoro, un’opera d’arte nella capacità di incidere, colpire le nostre coscienze, rappresentare il mondo, noi stessi, l’esterno e l’interno, uniti in modo indissolubile come una pietra gettata nell’oceano. Immenso!